Amo l’Inghilterra a distanza e con la Manica in mezzo. Amo
gli inglesi e la loro strenua capacità di innovare se stessi rimanendo
fortemente attaccati alla tradizione. Amo la loro civiltà, il pragmatismo, l’eleganza
di molte cose davvero british, poi amo il loro cinema, i loro attori, e anche
Sua Maestà la Regina. Mi piace che il loro Primo Ministro (ha frequentato Eton
e Oxford per meriti) sia laureato in storia antica, ha scritto un libro su Roma
e l’impero, conosce il latino (ha proposto di reintrodurlo nella scuola
pubblica), il greco e anche un bel po’ di italiano; a confronto al nostro
miglior politico è semplicemente un gigante.
Da ragazzo vedevo l’Inghilterra come la terra promessa della
modernità, degli hippy, dei Beatles, del Punk, dei diritti civili, dei giovani,
di Carnaby Street, dell’Isola di White. Vi andai la prima volta a 16 anni e
scoprì che erano tendenzialmente più poveri di noi, nel senso che erano
indietro su stili di vita, più sporchini, più sciatti, insomma tranne che per
il loro progresso sociale erano … meno. Ma sempre grandi. Poi ho capito il
motivo: in realtà la Gran Bretagna ha perso la seconda guerra mondiale, ovvero
l’ha vinta cedendo moltissimo agli USA e dopo il ’60 non erano neanche più
impero pur sentendosi imperiali. Eppure si sentivano, e si sentono, superiori,
ma con eleganza ovvero senza la tracotanza negazionista dell’italianità residua
dei francesi, senza la supremazia morale, etica e organizzativa ma silenziosa
dei tedeschi; mi ricordo che mi chiedevano dell’Italia e poi li vedevo
pensierosi come se si stessero domandando se anche noi avessimo il frigorifero
in casa.
Oggi Londra è globale e con il mondo, l’Inghilterra e il
Galles sono per Brexit a manetta, Irlanda e Scozia vedremo. Sono entrati nel
mercato comune con molti mal di pancia (la Francia non ne voleva sapere della “perfida
Albione” in UE), nel salotto europeo si sono sempre seduti sul bordo della sedia,
pronti ad uscire per un “tea” ad ogni controversia, sono stati la “longa manus”
degli USA che, attraverso loro, frenavano ogni progresso integrativo europeo,
non sono entrati nell’Euro per perseguire (giustamente) la loro scommessa
finanziaria indipendente visto che ormai avevano perso per decenni la loro
capacità manifatturiera.
Oggi si dividono dal resto del nostro continente, le strade divergono
nel momento peggiore per loro (per noi italiani è sempre il momento peggiore,
sempre e per tutto), il virus ha fatto molti danni e l’economia soffrirà in
generale della situazione tra uscita e virus, senza i paracaduti europei:
ebbene sì, la UE (che soffre anch’essa) sta investendo cifre allucinanti per
attutire gli effetti della pandemia e della crisi, UK non avrà questa
possibilità ma ne sono fieri (sembra) e anche contenti. Boris Jhonson lancia un
penultimatum ogni due giorni, come l’ultimo dei premier italiani, ma si è trovato
di fronte Merkel, Von der Leyen, Lagarde e soprattutto Macron, praticamente un
muro di cemento armato. Un muro fatto da previsioni di danni economici
(immediati, per il futuro chissà, forse staranno meglio di noi) per gli inglesi
e 36 per gli europei (però da dividere tra tutti i paesi). Finisce un equivoco
durato quasi 50 anni.
Così ci lasceremo come due fidanzati obbligati ad amarsi a
distanza, UK è e sarà sempre Europa ma diversa, in un mondo globalizzato stare
da soli non è buono, e l’onda lunga del trumpismo sembra al tramonto. Ma sai
com’è? M’hai voluto lasciare… va bene, stai a casa tua, forse proprio la
distanza ci farà riflettere meglio, come nei rapporti in crisi. Poi in fondo
gli inglesi sono quelli della famosa vignetta: “Ehi, hai visto? C’è tempesta
nella Manica” “Si, il continente è isolato”.