28 settembre 2020

La Viola, il lupo, la capra e i cavoli: storia di ordinaria italianità


 

A Firenze si sta consumando un “dramma” economico, edilizio, urbanistico e, quindi, politico: la questione stadio. Non è un semplice problema locale o sportivo, è lo specchio del Paese e come tale meriterebbe l’attenzione dei media nazionali.

Gli attori della commedia: uno stadio di 90 anni, un “Presidente Zio d’America”, i tifosi, il sindaco, la giunta, la regione, il governo, la sovrintendenza, il calcio.

Trama: una squadra e una città veleggiano da anni a metà classifica, un po’ su tutto. Un po’ più su, un po’ più giù, vive di glorie passate, di miti incancellabili, di presente dignitoso e incerto ma senza sussulti importanti. Un bel giorno arriva il “Presidente Zio d’America”, rileva la squadra e i sogni dei tifosi; egli è ricco, molto ricco, ha passione (più per il calcio che per la Fiorentina) e tanta voglia di fare in un business e in un paese che non conosce molto bene ma, spera, “amor, labor (et pecunia) omnia vincit improbus”. Il “Presidente Zio d’America” investe, spende, pianifica, ha una visione del business precisa e moderna che regali risorse ad una squadra che, al netto delle variabili impazzite di una palla rotonda, dia alla medesima quelle risorse e quella rinnovata grandezza “to make purple great again”. Non ha bisogno di guadagnare per se stesso, è già ricco in America e per un business diverso, ma per la squadra e la città; insomma si vuol divertire a veder crescere una creatura fino a riportarla ai fasti “medicei”. Lo “Presidente Zio d’America” regalerà un centro sportivo meraviglioso e lo stesso vuol fare con lo stadio, con annessi e connessi commerciali, un grande business per tutti, municipalità compresa.

Ma il “Presidente Zio d’America” ha iniziato a parlare alla città con fiori e sorrisi, ora sta usando la falce fienaia, anzi il caterpillar, perché? Perché, come al solito, c’è un malcelata convinzione di fondo: la politica ha le sue esigenze, questa è Firenze mica NY, qui il business passa da visioni complesse e complessive, “si fa presto a dire ‘pago io’”, ecc.

Il “Presidente Zio d’America” propone due soluzioni, dopo aver scartato quella preferita dal Sindaco che nascondeva costi e tempi non preventivati e/o non graditi: o facciamo lo stadio nuovo dove già c’è, con annessi e connessi commerciali, oppure vado nella piana a comprare i terreni adatti e me lo faccio da solo. ‘Pago io’. Ma qualsiasi soluzione ha delle controindicazioni: lo stadio è (fu) architettonicamente all’avanguardia ed è sui libri in materia, quasi intoccabile; sta subendo l’onta degli anni (decenni) e quindi va comunque ben ristrutturato a carico della proprietà attuale (il Comune di Firenze); è inadatto alle esigenze moderne sia in materia economica che di godimento del bene; raggiungerlo e andarsene è un grosso problema e un grosso disagio per tutti, parcheggiare una scommessa; gli spazi sono quelli che sono, la zona stadio è incastonata nel quasi centro di Firenze… insomma un bel problema, ma davvero grande.

Se il “Presidente Zio d’America” facesse come in USA se ne andrebbe dal Franchi: terreni suoi, stadio e aree commerciali sue, parcheggi, ecc. ma poi a Firenze che succede? Semplice, lo stadio non avrà più la sua funzione primaria, il Comune dovrà spendere per metterlo a norma e mantenerlo, non riceverà l’affitto, mancheranno le tasse che possono scaturire dalle attività incrementali della “nuova” Fiorentina, diverrà una cattedrale nel deserto.

Allora, forse, tra il Sindaco e i parlamentari riusciranno ad ottenere che il Franchi sia smontato e dato al “Presidente Zio d’America” grazie ad una legge (praticamente fatta apposta per lui) e si toglieranno una piantagione di castagne dal fuoco. Firenze vuole i soldi del “Presidente Zio d’America” ma devono essere spesi come vogliono loro. D’altronde, ormai, le “regionali” le hanno scampate. Però già si intravedono all’orizzonte i problemi: l’altezza? C’è un limite preciso dettato dal Brunelleschi. Le strade e i parcheggi? La tramvia? Le aree commerciali? E il TAR? Già hanno minacciato battaglie legali in mille.

Allora, forse, il “Presidente Zio d’America” manderà tutti a quel paese e farà tutto sulla piana. Sicuri? Regione, Provincia, Comuni metropolitani, Autostrade, Aeroporto, permalosità degli ottimati fiorentini, ... La lista di coloro che possono mettere i bastoni tra le ruote è lunghissima, i tempi potrebbero allungarsi, i dispetti sono dietro ad ogni angolo, la burocrazia, in punta di diritto, troverà un festival di opportunità.

Allora, forse, il “Presidente Zio d’America” manderà tutti, ma proprio tutti, a quel paese e non farà nulla. Dunque si perderebbero 300 milioni di investimento, una squadra più forte e coperta finanziariamente, migliaia di posti di lavoro, un volano economico importante in tempi di vera crisi, opportunità di incassi pubblici tra tasse ed espansione economica, e tutto rimane come prima.

Fossi nel “Presidente Zio d’America” guarderei di sera il Cupolone e penserei che, se si fossero comportati così all’epoca, quell’opera miracolosa non ci sarebbe mai stata. Ma pensate la delusione di un uomo che arriva con un pacco di soldi “in bocca”, si figura di essere il salvatore della patria e invece trova problemi ad ogni passo: “si fa presto a dire ‘pago io’”

Il tutto ricorda l’enigma del lupo, della capra e dei cavoli da trasportare de là dall’Arno con la barca: o trovi la soluzione con inventiva ed intelligenza, oppure sarà un insuccesso. Povera Firenze, povera toscana, povera Fiorentina.

Marco Cestelli

20 settembre 2020

Al Borgo, quanto ci lamentiamo, quanto poco pensiamo

“Chaiers de doléance”, il quaderno delle lamentele che coinvolge tutti noi borghesi di nascita, quelli che hanno sentito la calda coperta della Buitoni sulle spalle, che hanno vissuto in un paese benestante e vivo quando gli altri lo erano di meno, spesso molto meno. Era il paese dei veglioni col vestito da sera, dei bei negozi e delle tante attività, dei circoli, delle fabbriche e del benessere diffuso. Potrei continuare a lungo ma Sansepolcro era davvero “avanti”. Leggo spesso nostalgici racconti e lamentele sulla nostra città perché, evidentemente, ci è più facile vivere d ricordi che non affrontare, da comunità, la realtà odierna. E oggi, quindi? Non siamo affatto messi male. Con la differenza che sono cambiati i connotati dell’economia, della macro economia: ma come poteva essere diversamente se non abbiamo mai saputo ottenere una rappresentanza politica degna di questo nome e, anzi, abbiamo deriso (orma secoli fa) l’unico politico di peso reale?  Perché ci lamentiamo del nostro scarso peso politico quando non sappiamo organizzarci davvero per ottenere qualcosa? I politici locali quanto possono incidere e fare di diverso? Vi ricordate l’ultima volta che “il popolo” del Borgo si è ribellato e ha ottenuto qualcosa? Probabilmente no, ve lo ricordo io: quando un gruppo di ragazzi napoletani fece il diavolo a 4 al Borgo, picchiò delle persone, girava con pittbull senza guinzaglio, atteggiamenti violenti e intimidatori …. Manifestammo davanti al comune e di lì a poco il problema venne risolto. Eravamo 600, convocati per telefono o al bar, altro che social network.

La verità ultima consiste nel fatto che non siamo più un popolo, non siamo più una comunità; siamo una somma di individualità che si aggregano per interessi (di qualsiasi tipo). A mia memoria, siamo 16 mila abitanti da sempre, pertanto è ovvio che il ricambio ha annacquato di gran lunga la comunità dei Borghesi. Quando ero ragazzo il Telebar era pieno a tutte le ore, oggi è chiuso, vivevamo sempre in centro per il corso, oggi spesso è vuoto, il Massi era il più bel negozio della vallata, oggi è chiuso, la Balestra era il migliore hotel, oggi è chiuso, la Buitoni era una multinazionale convalescente, oggi il marchio è in mano altrui, ecc. non sempre c’è una colpa specifica, il mondo va verso le città, non è un paese per giovani (in generale). L’ E-commerce uccide i negozi dappertutto, perché pensare che da noi sia tanto diverso? La gente si incontra sui social perché noi dovremmo essere diversi?

Proprio noi Borghesi che misuriamo tutto con l’economia non sappiamo valorizzare le cose che contano moltissimo e che abbiamo: Aboca è un’azienda straordinaria che importa laureati da mezza Italia e dà lavoro a moltissime persone, eppure ci si lamenta dell’imprenditore che compra mezzo Borgo; abbiamo una discreta varietà di imprese, in più settori quindi meno sensibile al crollo dei singoli mercati, eppure viviamo ancora nella nostalgia della Madre Buitoni (che permetteva di tutto e di più); il turismo è aumentato molto grazie alle amministrazioni comunali e al “solito Piero” ma anche grazie ai camminatori, ad attività come Kilowatt e Caserma Archeologica, che al Borgo si conoscono poco e perlopiù snobbiamo. Abbiamo una delle pochissime tradizioni ininterrotte nei secoli ma non abbiamo capito ancora come utilizzarla e cosa farci. Abbiamo ancora un’ottima ristorazione, ottime tradizioni culinarie e materie prime (tranne il vino), e Sansepolcro è oggettivamente molto bella (come lo sono in tanti posti in Italia ma qui siamo ancora in Toscana e me lo dicono tutti quelli che la visitano). Abbiamo natura, acqua, aria buona, fauna, storia, buona posizione geografica. Abbiamo un ottimo Liceo, buone scuole e insegnati davvero in gamba e innovativi ma non mi sembra che qualcuno li interpelli. Siamo provinciali, siamo individui, non siamo comunità: quando mancano idee collettive saltano fuori solo le idee individuali che generano impresa privata (per fortuna ci sono) ma mancano visioni di insieme.

La ricchezza, nostro eterno metro di misura del benessere sociale, o si estrae (petrolio, minerali), o si coltiva (es: tabacco, meglio se bio), o si trasforma (da una materia prima al prodotto finito) o si inventa con le idee. Oppure te lo dà lo Stato ma di solito questo a noi ci tocca poco.

Il prossimo anno avremo le elezioni amministrative, avremo concittadini che ci racconteranno le loro idee (spesso astratte) per ottenere il nostro voto, e grazie a Dio saranno tutte persone perbene (come l’attuale Sindaco e Giunta) cosa non scontata in questa nazione; giudichiamoli dalle idee reali, programmi e progetti reali, realizzabili, per i quali sono disposti a crederci davvero e a battersi. E aiutiamoli, facciamo squadra, cooperiamo. Io non ho nessunissima voglia di partecipare alla vita amministrativa di Sansepolcro, nessuna, ma ho idee e da semplice cittadino sono pronto a metterle a disposizione di chiunque.

Marco Cestelli


 

16 settembre 2020

de "le cosce e l'immortalità dell'anima"


 Per tutta l’estate, sui social, abbiamo tanto apprezzato la vostra fisicità, vi abbiamo visto in posa, foto distrattamente intime, moderatamente allusive, in costume su lettini in spiaggia, oppure tramonti e panorami tra le cosce perfettamente depilate, selfie dall'alto con evidenti e meravigliose scollature, in prova vestiti o costumi di fronte allo specchio in camera, atteggiamenti guasconi con simpatiche “linguacce” sorridenti, “diti” medi alzati (forse per sfottere gli improvvidi corteggiatori senza speranza), oppure le due dita di “vittoria”(avete forse vinto la vacanza al mare), “boccucce” ammiccanti per baci virtuali.

Avete raccolto masse di “like” maschili, complimenti a non finire, e ve li siete meritati tutti. Vi ho (abbiamo) amato nella vostra generosità iconica. Vi ho (abbiamo) desiderato in queste performance vagamente sensuali, moderatissimamente pornografiche in veste di innocenti ricordi estivi, con foto amatoriali che hanno arricchito la bella stagione social. Brave davvero e non lo dico per esser simpatico, io ho davvero goduto delle vostre bellezze.

Poi, però, alcune scadono, subito dopo, con un post filosofico a caso, sulla superficialità maschile che non vede oltre l’estetica, sull'inaffidabilità maschile, su “essere se stessa al di là delle apparenze”, “per voi basta che respiri”, ecc. Personalmente sono molto selettivo (troppo) ma i miei istinti sono gli stessi, stesse pulsioni e quindi stessa limitatezza, non me ne vergogno affatto.  

È ovvio che lo stoicismo greco non deve albergare su Facebook, non è richiesta un’analisi psicologica ad ogni espressione fotografica, ma le incongruenze sono evidenti. Poi mi fate arrabbiare le mie amiche femministe che vedono in questi atteggiamenti da “pesca a strascico” come la più “palese e proterva dimostrazione della mentalità legata alla società patriarcale ove la donna si cela dietro il suo ruolo di eterno strumento di desiderio anziché paladine della virtù intellettuale femminile e della promozione, consapevole, del proprio ruolo sociale.

E dopo questo amabilissimo festival di pelle e sguardi, di centimetri di epidermide, di voluttà invitante, di allegra esposizione delle vostre bellezze, in questo “Billionaire virtuale” che è in tutti noi… vi lamentate (secondo i vostri post) che il testosterone prenda il sopravvento (LA VIOLENZA E LA MALEDUCAZIONE NON CENTRANO NIENTE)? Che quei maschietti mono-neuronali, pescati a strascico su Facebook, non tentino un approccio? Vi lamentate che scrivono semplicemente “ciao BBella, sei proprio BBella” su Messenger? Pensate se un maschietto con due o più neuroni vi scrivesse “ille mi par esse deo videtur”, ovvero una delle più belle frasi d’amore e desiderio mai scritte nella storia dell’umanità!?

Ci vorrebbe la “telepatia selettiva”, ovvero che vi scegliesse chi voi avreste scelto. Ma non c’è.

Siate felici di esser donne, lasciateci desiderare il vostro “desiderabile”, dovremmo aver tutti comprensione per le nostre debolezze umane, accettiamoci per quello che siamo, ovvero animali sociali sessualmente attivi. Amen

08 settembre 2020

Il Virus e il prossimo scontro sociale


 

La pandemia ci sta regalando delle meravigliose sorprese, delle novità eclatanti, mi spiace di non essere un sociologo o un antropologo perché vivrei in una Disney-land permanente.

Si sta scavando un fossato profondo, in Italia, tra i garantiti e i precari: da una parte i dipendenti statali e i pensionati (circa 20 milioni di persone), dall’altra i dipendenti privati, professionisti e disoccupati (circa 21 milioni di persone). Non è una gara paritetica perché i primi hanno garanzie pregresse da “contratto”, ben sindacalizzati e con diritti acquisiti; i secondi molto meno e anche per niente, anzi molti passeranno da stipendiati a precari o disoccupati, altri se la caveranno egregiamente. Di sicuro i primi dipendono dalla creazione della ricchezza dei secondi e questa diminuirà con certezza nei prossimi mesi.

Eppure i “garantiti” stanno studiando di tutto per non esporsi al virus mentre i secondi, a parte lo Smart working e le teleconferenze, farebbero di tutto per esporsi al rischio (nei limiti). Un ristoratore o un negoziante probabilmente indosserebbe una tuta tipo Chernobyl oppure lo scafandro dei palombari pur di vedere il suo locale pieno come ai bei tempi, laverebbe mani e piedi come il giovedì santo ai propri dipendenti per renderli immuni e pagarli come prima.

I dipendenti della PA, escluso scuola e sanità, insomma quelli degli uffici, rimarranno a lavorare da casa per il 50% fino a termine 2020, e spesso senza rispondere al telefono al pubblico (diciamo che non è un’ipotesi molto negativa). Molti docenti si stanno rifiutando di essere sottoposti al test sierologico (davvero non so il motivo ma ci sarà) e si sentono trattati da “badanti d’Italia”, esposti alle irruenze virali di milioni di studenti “sputacchianti” bacilli recuperati in famiglia. Altresì ce ne sono molti (non so quanti perché le cifre sembrano esagerate) sopra i 55 anni e con “fragilità immunologiche” che mandano certificati. Mi immagino nel privato, nella fabbrichetta del sciur Brambilla, se un dipendente si presentasse con certificazioni sulle proprie “deficienze immunologiche” …

Tra i “garantiti” ci sono stati dei veri e propri dati in controtendenza: “Quando – al colmo della paura collettiva – si fece appello a medici ed infermieri volontari per andare nelle trincee bergamasche, le adesioni spontanee furono oltre dieci volte superiori alle richieste. Quella gente rischiava la vita: ed erano pubblici dipendenti, con posto fisso, che potevano starsene tranquilli nella loro sede in regioni meno problematiche. Eppure sono andati ed hanno fatto il loro dovere ed hanno dato una mano ad uscire dall’emergenza.” “Quando, a marzo, alcuni sindacati provarono a mobilitarli contro la didattica a distanza, sostenendo che – non essendo prevista dal contratto – non potesse essere chiesta, fu la base – molto prima del ministero – a sconfessarli. Il decreto legge che dava legittimità alla Dad venne un mese dopo. Ma intanto le scuole si erano spontaneamente riconvertite ed attrezzate: improvvisando, sbagliando anche. Ma non si erano tirate indietro e non si erano fermate.

Ma il problema rimane intatto, c’è un abisso sui doveri e le garanzie tra “garantiti” e gli altri, peggioreranno da qui a breve; finché va tutto bene in fondo si accetta un po’ tutto; quando le cose si mettono male si allargano i fossati, si cerca il nemico e l’untore.

Non mi venite a dire che “che non si può generalizzare”, perché, se si generalizzasse davvero, bisognerebbe valutare i risultati che, in genere, non sono lusinghieri e per i quali bisognerebbe, ogni volta, trovare la colpa nello Stato o nell'altrui.

Marco Cestelli

Vogliamo “li sordi che ci cacciano in tasca dall’Europa, quelli che cce devono da”.

  Ho la spiacevole, ma netta, sensazione che il "glorioso popolo italico" non abbia contezza di cosa sia il  Piano Nazionale di Ri...